Uno degli obiettivi dell’Isis è quello di destabilizzare la Cecenia. Lo affermava il capo della Repubblica cecena Ramzan Kadyrov nel dicembre dello scorso anno. Contenere la minaccia dello Stato Islamico in una repubblica a maggioranza musulmana è dunque una priorità per il governo, che per questo attua una serie di misure per contrastare la crescita del fondamentalismo islamico. Che qui, inoltre, si lega a doppio filo alla crescita delle aspirazioni separatiste. Due eventualità che Mosca non può permettersi, con riferimento alla propria sicurezza nazionale.
Nel palazzo del ministero per la Politica Nazionale, la Stampa e l’Informazione incontriamo il ministro Djambulat Umarov, che ci illustra quello il governo ceceno sta facendo per combattere la propaganda e il reclutamento degli uomini del Califfato in Cecenia. “Penso che l’Isis sia un progetto mediatico globale creato ad Hollywood, dagli Stati Uniti per destabilizzare il Medio Oriente” esordisce, accogliendoci nel suo ufficio. Nella parete dietro la sua scrivania campeggiano nell’ordine i ritratti di Putin, dell’ex presidente ceceno Akhmat Kadyrov, e dell’attuale presidente, suo figlio Ramzan.
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Il ministro, pur non fornendoci dati esatti sul numero di combattenti ceceni attualmente impegnati a combattere nelle fila di Daesh, ci informa che il loro numero è diminuito a seguito dell’intervento russo in Siria. Ci dice che il centro del reclutamento dell’Isis nel Caucaso si trova oggi in Daghestan: qui la propaganda jihadista si basa sulla retorica legata ad eventi storici come la conquista musulmana della città di Derbent, teatro della recente sparatoria rivendicata dall’Isis contro un gruppo di turisti, con cui i reclutatori persuadono i giovani, specialmente i neo-convertiti, ad unirsi alla Jihad. “I terroristi agiscono ai confini, in Inguscezia, in Daghestan, per destabilizzare la situazione in Russia”, ci dice il ministro, “in Cecenia, invece, la situazione è sotto controllo perché abbiamo già fatto esperienza del male e ora siamo immuni da questo tipo di attacchi”. “I reclutatori, inoltre, non sono necessariamente ceceni o caucasici”, afferma Umarov, “ma spesso sono arabi o occidentali, perché il fenomeno è diventato globale”. “Abbiamo le prove, ad esempio”, continua il ministro, “del collegamento tra il gruppo estremista ucraino Pravy Sektor e l’Isis”. “Ci sono stati molti combattenti ucraini, come Karpyuk, Klykh e Malofeev, che in carcere hanno confessato di essere legati all’Isis e di essere in contatto con loro”.
La strategia cecena contro il terrorismo agisce su diversi livelli. Uno dei più importanti è quello della propaganda anti-Isis, che il governo fa tramite i mezzi di informazione e i social network. “Spieghiamo ai ragazzi che arruolarsi è una scelta sbagliata, invitiamo gli Imam per spiegare loro nel dettaglio la differenza tra l’Islam e l’Isis, facciamo parlare in tv i jihadisti pentiti che fanno appello ai ragazzi più giovani a non ripetere il loro stesso errore”. Lo stesso presidente Kadyrov mostra ogni giorno ai giovani ceceni, sul suo seguitissimo profilo Instagram, come dovrebbe comportarsi un vero musulmano. “Inoltre, con le nuove regole”, spiega il ministro, “tornare in patria per i jihadisti non è più così semplice, perché si rischia il carcere, e per questo ora i giovani ceceni ci pensano bene prima di arruolarsi”.
“Quando parliamo di lotta al terrorismo in Cecenia, non si parla solo di azioni di polizia” spiega il ministro, ma di un pacchetto di misure diverse, che interessano tutte le sfere, anche quella economica. “Abbiamo investito 128 miliardi di rubli, l’equivalente di un miliardo e mezzo di euro, per creare posti di lavoro per i giovani, aiutandoli a creare nuove imprese, inserendoli nell’amministrazione pubblica, nello sport e nel settore agricolo, che dopo l’introduzione delle sanzioni tra Russia ed Europa si è molto sviluppato” spiega Umarov, “dove c’è disoccupazione e povertà, infatti, i giovani sono più inclini all’indottrinamento e alla radicalizzazione: così facendo togliamo invece ai terroristi ogni terreno fertile per il reclutamento”.
Come fu per le due guerre russo-cecene, continua poi il ministro, ci sono anche delle potenze esterne che hanno interesse a destabilizzare il Caucaso. “Turchia, Iran e Russia sono sempre stati i tre grandi attori della regione caucasica”, spiega il ministro Umarov, “e la Turchia già durante la prima guerra russo-cecena ha provato a giocare la carta del separatismo, finanziando i ribelli tramite media e fondazioni che sono ancora operative”. “Una di queste, Imkander”, continua, “un’organizzazione creata dalle forze speciali turche attiva soprattutto in Inguscezia e Daghestan, si occupa tuttora di reclutare i giovani del Caucaso per conto dell’Isis, con l’obiettivo di aumentare l’instabilità nella regione”. Il ministro accusa infine la Turchia di non fare abbastanza per controllare il passaggio dei jihadisti attraverso i propri confini. “Sappiamo benissimo come lavorano le forze speciali turche e l’esercito, che è uno dei maggiori in Europa: se volessero controllare il traffico di combattenti e jihadisti sul proprio confine potrebbero farlo tranquillamente” afferma Umarov. “Inoltre”, continua il ministro, “stanno usando i flussi migratori come arma di ricatto verso l’Unione Europea, per perseguire i propri interessi, come quello dell’accesso alla membership comunitaria”.
“Qui in Cecenia”, conclude il ministro, “grazie al recupero della memoria storica, siamo riusciti ad estirpare il male mettendo al centro la dignità dell’essere umano, che è quello che accomuna, non a caso, i testi sacri delle tre grandi religioni monoteiste: la Thora, il Corano e la Bibbia”.